Il tuo carrello è attualmente vuoto!
Carbonara: una deviazione gustosa

Carbonara festival: una deviazione gustosa
Ascolta la versione letta da me dell’articolo “Carbonara: una deviazione gustosa”. Un viaggio sotto la pioggia verso Udine, tra treni, mezze maniche e festival romani fuori contesto.

Ancora una volta, una deviazione nel percorso delle puntate della Carbonara.
Ma mi farò perdonare, abbi fiducia. Del resto, la cucina è rigore ma fino a un certo punto, e poi io non parlo quasi mai di pasticceria!
Il viaggio verso Udine
Da venerdì a domenica, 16–18 maggio, c’è stato in piazza XX Settembre a Udine il Carbonara Festival.
Avvertito tardi, da amici premurosi dell’esistenza dell’evento, ho dovuto cambiare in corso d’opera i miei programmi domenicali, oltreché la progressione degli articoli sulle puntate dedicate alla storia della Carbonara.
Li ho cambiati con entusiasmo, perché era un altro tassello nel racconto che posso darti, lettore appassionato di carbonara. A un festival si va in treno. Problemi di parcheggio e questione etica risolti: l’auto, in questo caso, era un accessorio ingombrante e inutile.
Parto da solo, come amo fare quando vado a degustare. Né più né meno di Montalbano, quando va da solo a mangiare le triglie nella sua trattoria preferita. Il vantaggio è anche che, mentre il tubo su rotaie corre, si legge, si scrive, si pensa.
Domenica, ore 18:47 partenza.
Non ho aspettative: sono aperto a qualunque esito, ma mi piace l’idea di una nuova versione della ricetta.
Questa volta non per ingredienti o esecuzione… ma per il luogo e le modalità di mangiarla. Potrebbe essere un disastro oppure un’occasione.
Del resto dovrò anche assaggiare per te la carbonara in barattolo. Un vero gourmet si deve sacrificare per coltivare la sua credibilità!
Pioggia, piazza e primi assaggi

Udine mi aspetta sotto una pioggia scrosciante. Il taxi mi porta a destinazione. La piazza, sotto un cielo plumbeo, è piena di ombrelli.
Un lato è occupato da camioncini ambulanti, l’altro da un lungo tendone. Ci sono tutte le specialità romane.
Non serve dire che non ho l’ombrello.
Pago la mia porzione di carbonara, mentre a pochi centimetri il tendone si svuota a cascata distante un niente dalla mia manica.
La secchiata d’acqua mi sfiora mentre trovo riparo sotto pochi centimetri di tettoia a protezione della cassa.
Piove che Dio la manda, ma per questa volta Dio ha avuto un occhio di riguardo per me.
Scelgo vigliaccamente la carbonara con le mezze maniche, piuttosto che quella con i tonnarelli, nonostante mi si proponga una fila più breve.
Gesti semplici, risultato perfetto
Geniale l’idea di un’unica cucina, con la pasta straordinariamente al dente, continuamente cotta in grandi cestoni e condita in grosse terrine di Carbo–crema (anche se il termine mi è antipatico, necessariamente devo usarlo perché qui questo è).
Da naufrago mi faccio ospitare sotto l’ombrello di due ragazzi. Ho sempre più la netta sensazione che questo sia il posto più giusto per la carbonara.
Lontana dai ristoranti gourmet, un luogo ancor più giusto della trattoria di quartiere, persino più coerente della pizzeria. Qui ha un valore di condivisione di gesti necessariamente indispensabili, essenziali, onesti. Tutto a vista! La carbonara qui è un segnale di riconoscimento identitario. Perché a Udine, romani? Siamo abituati a pensare a Udine… longobardi.
Invece qui c’è un popolo sotto una bandiera: quella della carbonara. Gialla del tuorlo, bianca del pecorino e rossa, una frazione del guanciale.
La fila scorre veloce.
Capisco anche osservando gli addetti romaneschi e sorridenti, in maglietta nera e pantaloncini, cos’è davvero questa ricetta.
Troppo: studiare, scrivere, cercare risposte, provare varianti, completare ricerche mi stavano distraendo da quello che è la carbonara.
Quello che vedo dell’organizzazione mi rimette in careggiata. Il piatto è fatto di pochi gesti rapidi, semplici, precisi.

Quando arriva la mia porzione abbondante, metto a fuoco che non è questo il luogo per fare domande.
Niente interrogatori su guanciale o pancetta, uova intere o tuorli, parmigiano o pecorino, panna o non panna.

I ragazzi dell’ombrello mi indicano i portici dove andare a mangiare. Piatto di carta robusto, adatto e compostabile, forchetta di legno. Per fortuna non dovevo raccogliere tonnarelli. Rimango meravigliato dall’ottima qualità. Pecorino non salato ma sapido, pasta al dente, guanciale che non capisco con quale geniale modo resta croccante sotto i denti. Super abbondante condimento, che raccolgo con le ultime mezze maniche e penso che ne avrei voluta ancora.
Capisco che questo modo così semplice di cucinare questa ricetta ha la giusta conclusione in una sagra, una fiera, un festival campagnolo senza pretese. Accettato per meteo avversa di mangiarla in piedi, senza tovaglia e senza posto a sedere, è la dimostrazione più efficace di cos’è il cibo buono italiano. Aggiungo che spesso le cose che sembrano semplici sono frutto di un’organizzazione professionale silenziosa ma efficace che non si vede, ma che ho apprezzato molto.
La piazza è deserta, sotto uno scroscio d’acqua che lucida il panorama.

Ultime porzioni quasi esaurite per le carbonare del festival. Saluto i ragazzi che mi hanno salvato dalla pioggia. Arriva il mio taxi che mi riporta in stazione, soddisfatto.
In treno inizio a pensare che dovrò cambiare la programmazione degli articoli e sperare che il temporale non anticipi il mio treno. Questa volta non potrò contare su due ragazzi generosi. Ma sulla carbonara ancora sì.
Se ti sei perso le puntate precedenti, puoi leggerle o ascoltarle qui:
- Una carbonara: Chicago 1952. Quarta puntata.
- Carbonara: una storia italiana prima del nome. Terza puntata.
- Carbonara Rock. Seconda puntata.
- La carbonara. Prima puntata.
E se vuoi sapere come finirà questo viaggio nella carbonara italiana… resta connesso!
Dai un’occhiata ai nostri “pesci rossi“.
“Pesci Rossi” è una collana di libri tascabili da leggere, regalare o gustare. Dentro ci sono Trieste, ricerche e articoli sulla gastronomia italiana e su quella triestina. Tratto gli argomenti della citta: il suo caffè, la Bora, qualche poesia da comodino, perfino Pinocchio immancabili Joyce, Svevo e Saba…
Storie brevi ma vive. È la bellezza rapida e salvifica del racconto, che ci permette di non essere mai dimenticati. Basta avere una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.

Le Malefatte della Bora continuano anche su Instagram e su Facebook con la “Raffica di Bora”.
Home del sito “Le Malefatte della Bora”.
Se qualcosa non funziona, c’è una raffica di vento di troppo. Abbi pazienza ci stiamo ancora lavorando.
Commenti
Argomenti
- Dove mangiare a Trieste.
- Identità triestina
- La Carbonara – Serie completa
- Storie di cucina di Maurizio Stagni
- Uncategorized
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.