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Carbonara Rock

Per me, la carbonara è rock.


Se lo desideri ascolta l’articolo con la mia voce qui sotto.



Questo doveva essere un articolo sulla storia della carbonara. Avevo già iniziato a scrivere qualcosa. Poi ho messo sul fuoco l’acqua per una carbonara stile anni ’80 e come sempre ascoltavo un po’ di musica jazz che amo. Ma ad un certo punto mi è entrata in testa: The Dark Side of the Moon. Quella era la colonna sonora giusta! Da quel momento non ho più potuto tornare indietro. L’articolo con la storia della ricetta è rimasto lì in attesa della prossima puntata. Invece quella su: “ricetta e musica” ha cominciato a suonare e non si è più fermata.
Quindi prometto che precisi riferimenti storici arriveranno nel prossimo articolo ma per ora te la racconto con la musica. Del resto la Beat Generation avrà pur lasciato il segno per qualcosa, il rock e il pop pure e allora è uscito questo articolo di getto, senza pensarci troppo:
“La carbonara è rock”
È identità urbana.
Non è tradizione rurale, non è affetto familiare. È identità urbana. È una ricetta moderna metropolitana, figlia di circostanze condivise. Ha bisogno di persone che la pensano in modi diversi. Di calca da concerto. Come il rock, nasce da una rottura, da forti contrasti. Non è una ricetta che si eredita, ma una che si scopre, si discute, si reinventa. Rustica, graffiante e decisa come la musica dei Led Zeppelin o un disco dei Pink Floyd ascoltati a tutto volume nella casa borghese dei genitori, in loro assenza.
Si diffonde quando operai e studenti si trovano fianco a fianco. Nelle piazze, nelle fabbriche occupate, nei corridoi delle università. Intanto il canto libero di Lucio Battisti esce dalle radio private. Checco, Claudio Lolli fa a pezzi in melodia la borghesia e le bombe dell’estrema destra esplodono. De André attende di scrivere dell’hotel Supramonte e intanto scrive canzoni che sanno già di disillusione.
Una cultura guidata, condivisa, uniforme.
Grammofono, giradischi, mangiadischi, cassette, CD, iPod, Spotify: strumenti che hanno ampliato il flusso della musica e con lui la scoperta e il tramonto di interi generi. Dentro quel flusso, fatto di armonie e disarmonie diverse, successive o contrastanti, c’è anche lei: la carbonara. Scivola nel pop, nella televisione nazional-popolare, tra Carosello, Rischiatutto e Sanremo. Quattro novembre 1961, arriva il secondo canale Rai in bianco e nero: Nilla Pizzi, Orietta Berti, Modugno e Claudio Villa…
Era questo ciò che potevano avere gli elettori: operai, artigiani, casalinghe, studenti… Tutto raccolto in una cultura guidata, condivisa, uniforme. Uguale per tutti, come lei in quel momento.
Come il rock: non ti consola, ti provoca.
Non solo per me è stata la prima sfida con pentole e fornelli. Non come un rimediabile spago all’ aglio, olio e peperoncino. Lei è una vera sfida gastronomica. È frutto di scelte fatte da solo, anche lontano da casa anche per conquistare un lui, una lei, un gruppo di amici. È legata al rischio, al piacere personale di far funzionare tutto. Ogni volta è come lo stress di un concerto dal vivo. Come il rock: non ti consola, ti provoca. Grassa non dolce, decisa, semplice ma complessa, forte, croccante e cremosa.
Carbonara più elegante.
Ti costringe a prendere posizione. Questo accende le stesse aree cerebrali di quando ascolti un pezzo forte della mia adolescenza: piacere, ribellione, riconoscimento. È il momento nel quale l’Italia vuole essere moderna. Autostrade, supermercati, grattacieli, automobili, ma con l’italiano ironicamente stentato di Carosone. “Tu vuò fà l’americano” inquadra quel momento dove la distorsione sembra sia realtà. Anche la carbonara, in quegli anni, un po’ ci ha provato: a farsi più elegante, più morbida, più “internazionale”.
Musica da aereoporto, da sala d’attesa.
Negli anni ’80 e ’90 terminata la sua fase pop, la carbonara è diventata più swing, forse più jazz. La ricetta viveva la sua jam session, dove stava cercando la sua identità. Non il jazz da club, denso, graffiato personale, quello di Charles Mingus, Thelonious Monk, di John Coltraine ma quello consolatorio da crociera, da orchestrina in completo bianco e papillon. Era arrivato il tempo di Just a Gigolo, versione David Lee Roth. Come quella carbonara che perdeva il suo primo groove stemperato nella panna, dalla pancetta affumicata al posto del guanciale, parmigiano o grana al posto del pecorino.
È come il brivido inarrivabile, macabro, straordinario ma insieme consolatorio degli zombies in Triller, capolavoro di Michael Jackson. Diventa una versione da sala da pranzo borghese. Più ristorante, più velluto. Come “Feeling Good” di Nina Simone oppure “Come Fly With Me” di Sinatra. Musica da aeroporto, da sala d’attesa.
Il guanciale
Il guanciale si impone più tardi come la presenza della chitarra di Hendrix: distorta, graffiante.
In quel periodo, la carbonara era groove e smooth insieme.
Mi contraddico? Certo. Ma così era lei: in bilico tra un passato accogliente e un futuro intransigente. I suoi musicisti jazz da transatlantico, finito il turno, suonavano per davvero in cantina. Il rumore dei bicchieri e delle chiacchiere e il fumo denso, quasi copriva la musica. Eppure, era proprio lì che l’affumicato e il groove graffiante del jazz bucava l’atmosfera densa, opaca e il brusio di fondo. Nella jam session le ginocchia si mettevano in moto orgasmico incontrollabile, spontaneo e irrefrenabile.
Poi qualcosa è successo. La carbonara è tornata piena, aggressiva ma non ruvida, meno ignorante. Pulita e assoluta. Matura, come un cocktail perfetto con non più di quattro componenti. È una pietra che rotola, non si ferma e non credo lo farà. Oggi, più la fai tua, più la carbonara sarà rock. Se ci metti il burro, sarà borghese e anche un po’ swing. Più jazz con un pepe saporito e il pecorino piccante.
Tanto sai già che a chi ama il blues non piacerà. Pazienza.
È rock.
Questo articolo fa parte della serie dedicata alla carbonara e alle liturgie gastronomiche de Le Malefatte della Bora. Se ti interessa la gastronomia, la storia delle ricette, Trieste e la cucina con Maurizio Stagni, oppure cerchi un altro punto di vista sull’Italian food, continua a seguirmi. Racconto storie che non hanno bisogno di essere perfette, ma solo vere.
👉 www.lemalefattedellabora.com (si apre in una nuova scheda)

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Il prossimo articolo, questa volta davvero sulla storia della carbonara, fra:
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