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Noi siamo quelli delle Clarks.


Noi siamo quelli delle Clarks simbolo della sinistra anni ’70
Siamo della generazione della Tv dotata solo di due canali in bianco e nero.
Noi siamo quelli che formano un piccolo gruppo di professionisti o appassionati che scrive e inventa questa pubblicazione. Della generazione della Tv dotata solo di due canali in bianco e nero e la ruota dietro per sintonizzarsi con il programma “de quei de là”… Quando, nostro malgrado, c’era un vero “de qua” e un “de là”. Un “qua” e un “là” che se nell‘800, era una magmatica frontiera sulla quale veleggiava a gonfie vele una “città immediata”, un porto vitale per un impero, un secolo dopo quella frontiera è diventata una linea reale e ideologica un solco profondo e profondamente imperfetto.
Noi siamo quelli che calzavano le Clarks o le Barrows …
… riconoscendoci di sinistra o di destra ne più ne meno della doccia e la vasca per Gaber. Noi siamo quelli delle Clarks che erano il simbolo della sinistra negli anni ’70 e ci bastava indossarle per sentirci di sinistra. Fredde d’inverno e calde d’estate. Le Barrows erano di destra. Scarpe a punta (in triestino “copabapacoli”) o anche i mocassini con la moneta incastrata al centro della fibbia. Vivevamo in una città in bilico, con le navi americane in porto e il pallottoliere elettorale sul palazzo della Democrazia Cristiana in piazza san Giovanni. Era il luogo afollato dove la gara fra i partiti era scandita dal cambio manuale dei cartelli col conteggio dei voti.
Intanto si andava in “Tor Cuccherna” che “cucava” dall’alto dell’antica torre, i balli, gli incontri, le avventure di noi giovani. Ci vedeva arrivare in Vespa Primavera, in 850 coupé, in Ford Capri… Non c’era bisogno di sapere che quella torre era l’ultimo degli elementi delle mura antiche ormai abbattute per una città in espansione. Siamo quelli dei nomi delle città jugoslave che nelle carte geografiche erano in italiano e che poi in dissolvenza sono apparse in serbocroato: Fiume-Rijeka, Abbazia-Opatija, Arbe-Rab… senza che noi ne avessimo colpa.

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Siamo nati e cresciuti in una città duale
Trieste una città divisa fra il centralismo euroregionale ma con la collocazione nella remota periferia geografica italiana, fra la sbandierata cultura mitteleuropea e l’analfabetismo della parola: Mitteleuropa. Abbiamo navigato fra rapide ricchezze e altrettanto istantanee miserie, fra passato irrisolto e difficoltà progettuali per il futuro. Noi siamo siamo quelli che hanno ereditato il “volentieri” triestino che solo da noi significa: “ no se pol, no gavemo”. Qualche volta anche noi diamo ai turisti le indicazioni stradali attraverso attività che da 50 anni non ci sono più, siamo quelli che trascurano le bellezze quotidiane che ci circondano, molto apprezzate dai “foresti”, ma poi ci meravigliamo della chiusura o la scomparsa di ciò che fino a poco prima era dato per scontato. Siamo la generazione dei silenzi dei genitori e nonni sugli avvenimenti passati oppure dei loro racconti urlati e disperati.
Le Clarks erano una dichiarazione muta
Le portavamo con orgoglio, per dire chi eravamo e quale futuro volevamo.
In quegli anni, le strade, le piazze, i ritrovi italiani e ancor più triestini erano simboli di parte. Luoghi “di sinistra” o “di destra”, ben riconoscibili e non solo per chi li frequentava.
Con le Clarks, simbolo della sinistra anni ’70, camminavamo già convinti di fare politica. Orgogliosi, lo facevamo con il manifesto sottobraccio, La nausea di Sartre nella borsa, Gramsci in testa.
Oggi non metto più le Clarks. Non ho voglia di avere caldo o freddo ai piedi
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