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IL BARITONO E IL SUO CAPPELLO

Trieste, mercoledì 17 novembre 1954, ore 18.10. Il Politeama Rossetti, nonostante le raffiche di Bora che da giorni maltrattano la città, è gremito in attesa della seconda rappresentazione del “Nabucco”. Gli spettatori che lentamente riempiono il teatro sono temerari appassionati di lirica o semplici spettatori alla ricerca di uno svago dopo una gelida, ventosa giornata invernale. Tutti sono in attesa soprattutto della terza parte dell’opera il “Va’ pensiero”. Quest’“Aria” accomuna in una unica celebrazione il popolo ebraico, i triestini “regnicoli” e gli esuli istriani. Inno alla patria quand’è sottomessa al dominio di un imperatore. Per i molti non nostalgici di “Ceco Bepe” e della “Defonta”, è un canto di vittoria per Trieste liberata, e per i fiumani e i dalmati un simbolico grido solenne a ricordare il loro esodo dalle terre. “O mia patria sì bella e perduta…”.

A Trieste la statua di Verdi subisce glorie e disastri a seconda delle sorti politiche della città e dei suoi confini. In piazza San Giovanni, da molti chiamata piazza Verdi, per favorire la confusione con piazza del Teatro Verdi, il basamento della statua riporta in una epigrafe la seguente dicitura: “Eretto nel marmo dalla fede dei cittadini il 27 gennaio 1906 distrutto da odio nemico (gli austriaci) il 20 maggio 1915 volle il comune (italiano) che qui risorgesse nel bronzo il 26 maggio 1926”. Questa è una delle tante “capriole” storiche della città.

Trieste è Italia da poco. Infatti alle ore 10 di martedì 26 ottobre 1954, in un’altra giornata di Bora scura, il Generale Renzi aveva assunto a nome del popolo italiano i poteri civili e militari per Trieste e la zona “A” assegnata definitivamente all’Italia.
Il teatro può contare su un “tutto esaurito”…